Pablo Solon: una prospettiva indigena sul benessere

Pablo Solón è un politico boliviano. È attivista sociale ed esperto in tematiche socio-ambientali. Pablo è stato ambasciatore della Bolivia presso le Nazioni Unite (2009-2011). Il suo lavoro ha contribuito all’adozione da parte dell’Assemblea generale dell’ONU di diverse risoluzioni, tra cui quella sul Diritto all’acqua, e all’istituzione dell’International Mother Earth Day. È stato responsabile per i negoziati sul clima per la Bolivia presso le Nazioni Unite. Dal 2012 al 2015 è stato direttore esecutivo di Focus on the Global South presso Bangkok.

YPA: Cosa significa benessere per Lei?
PS: Il concetto di “Vivir Bien”, che può essere tradotto con “benessere”, è una visione onnicomprensiva. È il modo di vivere delle comunità indigene delle regioni andine del Sud America. Si tratta di una prospettiva olistica, nel senso che descrive il cosmo come un insieme in cui tutto è interconnesso, non solo la vita umana con la natura, ma anche qualsiasi cosa ci sia nel cielo e nel sottosuolo. Inoltre, anche il tempo coesiste con lo spazio. In questa visione il tempo non segue un andamento lineare, ma un movimento a spirale. Per questo motivo, non ha proprio senso parlare di progresso, perché non è veramente possibile passare da un punto a uno più avanzato. In tutti i momenti del futuro c’è sempre qualcosa del passato. C’è sempre complementarietà tra i diversi aspetti della vita. Ad esempio, non c’è felicità senza tristezza. Pensare di poter avere solo felicità è un’illusione visto che la felicità pura non esiste, ma esiste solamente in senso complementare, accompagnata dal suo opposto. Lo stesso avviene per tutti gli aspetti della vita e dell’esistenza. La cosa più importante per gli esseri umani è raggiungere l’equilibrio di tutti gli elementi che sono in contraddizione l’uno con l’altro. Perciò lo scopo non è crescere, avanzare, progredire all’infinito, ma appunto cercare l’equilibrio. Questo equilibrio non è possibile raggiungerlo eliminando gli altri, ma si raggiunge cercando la complementarietà con gli altri in modo da divenire un intero, poiché non c’è nulla più importante dell’intero, di una totalità in equilibrio.

YPA: Come concepisce le relazioni degli esseri umani gli uni con gli altri e con la natura nell’ottica del “Vivir Bien”?
PS: Il concetto di natura è usato comunemente per definire ciò che è altro dall’essere umano, ma, in realtà, è scorretto astrarre l’umanità dalla natura. Dobbiamo riconnetterci alla natura, perché anche noi siamo parte di essa. Se abbandonassimo la nostra prospettiva antropocentrica e assumessimo questa prospettiva nuova, riusciremmo a cambiare le cose per il meglio. È esattamente questa la meta del “Vivir Bien”: nella realtà delle cose, la vita umana non è separata dalla natura, e quando parliamo di Madre Terra, ci riferiamo a tutto, non solo alla natura.

YPA: Durante la conferenza ha parlato del fatto che dovremmo prendere coscienza del fatto che siamo “colonizzati” nel nostro modo di pensare. Può spiegare meglio il concetto?
PS: Dobbiamo “decolonizzarci”, nel senso che dobbiamo sbarazzarci del processo di colonizzazione di cui siamo tuttora oggetto. La colonizzazione non è solo quando, nei secoli passati, una superpotenza arrivava a colonizzare una certa parte del mondo, ma è un fenomeno proprio del nostro tempo. Il nostro presente si basa su valori e credenze che abbiamo fatto nostri senza alcuna riflessione o analisi profonda. Qualcuno ce li ha imposti. Quindi, per decolonizzarci dovremmo cominciare a pensare con la nostra testa. Bisogna analizzare e guardare con i propri occhi, perché solo così si può trovare il modo di bilanciare i diversi elementi dell’intero.

YPA: Secondo la Sua esperienza, quali sono i rischi dell’integrazione del “Vivir Bien” nel contesto delle politiche statali?

PS:  Per me, il benessere è una visione olistica onnicomprensiva che ha radici profonde, perciò non può essere sovraimposta. Deve emergere dalle comunità locali, dai movimenti sociali. Il ruolo dello Stato deve essere quello di facilitare il processo, non quello di controllarlo, dirigerlo o utilizzarlo per i propri fini. Bisogna capire che lo Stato non è la cosa più importante: la cosa più importante è una società ben organizzata.

YPA: Ma non possiamo aspettarci che lo Stato ceda porzioni del proprio potere molto facilmente. Come fare?

PS: Saranno le mobilitazioni, le iniziative, i movimenti dal basso a prendersi il loro spazio e il loro potere dallo Stato, perché, nella realtà, la società ha tanto più potere quanto lo Stato ne cede.Chiaramente lo Stato si difenderà e reagirà, indifferentemente che sia controllato da forze di destra o di sinistra. Per questo motivo dobbiamo pensare a nuove soluzioni per questo problema.

YPA: Durante il suo intervento ha affermato che il progresso è l’antitesi del benessere. È possibile avere progresso senza crescita? In un mondo diverso, lo sviluppo potrebbe essere una componete del benessere?

PS: Il concetto di sviluppo proviene originariamente dalla nozione di progresso, ovvero avanzare, andare avanti. Secondo la visione del “Vivir Bien” non ci si muove mai veramente in avanti. Pensare allo sviluppo come avanzamento è un’illusione. Il “Vivir Bien” è quindi inconcepibile in una visione che preveda lo sviluppo, perché è proprio un modo diverso di pensare la vita. Per il “Vivir Bien” la cosa più importante è raggiungere un equilibrio dinamico, non lo sviluppo. In un equilibrio dinamico alcune parti crescono mentre altre decrescono. Ci sarà sviluppo in alcune aree, mentre in altre ci sarà un inviluppo. L’intero rimane sempre in equilibrio.

YPA: Si può raggiungere il benessere nella nostra società globalizzata?

PS: Le comunità indigene hanno praticato il “Vivir Bien” per secoli, ben prima dell’avvento del capitalismo. Se la domanda però è “si può praticarlo in contesto capitalista?”, la risposta è no. Il “Vivir Bien” è in contrapposizione netta col sistema capitalista, proprio perché il capitalismo prevede che ci sia sempre crescita economica. Se non ci fosse crescita economica, non ci sarebbe profitto e dunque il capitalismo non funzionerebbe. Infatti, cos’è che ha bisogno che l’economia sia costantemente in crescita? Il capitale. Il benessere, invece, vuole l’opposto. Per cui, a un certo, il capitalismo e il “Vivir Bien” si scontreranno. Si può quindi realizzare lo stile di vita previsto dal “Vivir Bien” in un mondo dominato dal capitale? No. Però lo si può realizzare in contesti più ristretti, come una comunità locale, mentre non è pensabile che sia esteso a livello nazionale, perché tutte le nazioni fanno parte del mondo globalizzato.

YPA: Nel suo discorso ha menzionato anche le debolezze e le limitazioni del concetto di benessere. Ci può spiegare meglio cosa intende?

PS: Il Vivier Bien non ha la risposta a tutti i problemi, ma è una visione con punti forti e punti deboli. Un punto debole è che non ha trovato il modo di risolvere il problema del patriarcato, e non possiamo certo pensare a un mondo diverso se prima non ci sbarazziamo di questo problema. Inoltre, è una visione che non ha mai elaborato una teoria soddisfacente dello Stato. Questo è un problema che si è presentato anche durante la mia esperienza nel governo di Evo Morales in Bolivia. Questi limiti intrinseci della visione del Vivir Bien mi fanno pensare che bisognerebbe integrarla con altri modelli, come quello delle comuni, quello dell’ecofemminismo, quello della decrescita, quello della de-globalizzazione. Solo in questo modo si riuscirà a creare delle alternative sistemiche concrete alla situazione attuale.