Gamberi di fiume e gilet gialli: conflitti di scala nascosti sotto il nostro naso.

di Rosa Maria Currò, articolista dell’Agenzia di Stampa Giovanile

Della storia che vi raccontiamo oggi si sono occupate già molte testate, dal “Messaggero Veneto” a “Repubblica”. Ha fatto notizia perché non tutti i giorni un ragazzo di 14 anni, nel 2016, decide di intraprendere un percorso che lo porterà per i successivi due anni e, si presume anche per quelli avvenire, a dedicarsi alla tutela dell’ambiente e alla lotta contro il cambiamento climatico.

Aran Cosentino, classe 2002, ci contatta per raccontarci di come, due anni fa, abbia casualmente scoperto un progetto: la costruzione di una centrale idroelettrica alimentata dalle acque del torrente Alberone, che scorre proprio sotto casa sua. Scoperta che ha cambiato la sua vita, rendendolo uno dei fondatori del “Comitato Amici dell’Alberone”. Gruppo che si batte in nome della salvaguardia dell’ecosistema circostante il corso d’acqua. In specifico, dell’areale del gambero di fiume europeo, specie protetta poichè in via d’estinzione e che abita proprio una delle parti del torrente che sarebbero rimaste a secco con la costruzione della centrale idroelettrica.


Un’iniziativa molto nobile, un esempio di presa di posizione in età giovanile, di vera cittadinanza attiva, ma che, a mio avviso, racconta molto di più di quanto non si possa vedere superficialmente. Parlando con Aran, ciò che più mi ha colpito è stata una sua semplice frase: “Noi non siamo contro l’energia rinnovabile, ovviamente, sappiamo quanto sia importante uno sviluppo in questo senso per contrastare il cambiamento climatico, ma se un progetto non è ben pensato, per quanto giusto, diventa dannoso”. Sentendo queste parole ho capito che questa storia non parla di un “bene” (la società civile che protegge i luoghi in cui abita) contro un “male” (la ditta che vuole realizzare un impianto idroelettrico), come si è inclini a capire. Il conflitto che ci propone è invece molto più sottile del previsto: un conflitto di scala in piena regola.
Mi spiego meglio, come abbiamo detto, a livello locale, l’ecosistema della zona dell’Alberone verrebbe danneggiato dai lavori proposti. Ampliando lo sguardo, tuttavia, se la notizia che ci fosse arrivata fosse stata “Nuova centrale idroelettrica in Friuli, altro passo per ridurre l’uso dei combustibili fossili“, non sarebbe questo stato motivo di gran vanto e merito, vista l’importanza della lotta contro il cambiamento climatico?


Probabilmente senza rendersene conto, Aran, si è trovato in mezzo al principale punto di stallo dell’umanità contemporanea. Il surriscaldamento globale (a livello macro) minaccia la biodiversità (si stima che a causa delle azioni umane, negli ultimi 40 anni siano scomparse il 60% delle popolazioni animali) e le condizioni di vita di numerose popolazioni umane. Un progetto (a livello micro) volto a contrastare il peggioramento di tali condizioni non può non considerare le ripercussioni pratiche che la sua attuazione causerebbe nel contesto di realizzazione. Cioè, se progetti una centrale idroelettrica per ridurre l’uso di combustibili fossili, per contrastare il cambiamento climatico evitando che altre specie animali e vegetali si estinguano, non puoi dimenticarti di valutare se il tuo stesso progetto, una volta realizzato, contribuirà a mettere a rischio un ecosistema.


Tuttavia, mi domando, è sempre possibile trovare delle soluzioni che abbiano solo conseguenze positive? E se la risposta fosse no, come valutare quale tra i due “bene” in conflitto sia il migliore? E così, un avvenimento friulano, si può riscoprire fratello di un altro e ben più noto, nonché violento, atto di protesta: quello dei “Gilet Gialli” in Francia. Protesta nata a causa dell’aumento del prezzo del carburante deciso dal governo per contrastare l’uso dei combustibili fossili e che, seppur in termini economici e non ambientali, trae le sue radici da un conflitto di scala. A livello più alto, se chi usa i carburanti derivanti da combustibili fossili paga di più, non solo il loro uso si ridurrà ma il surplus di entrate potrà aiutare i lavori di ricerca contro il cambiamento climatico, tuttavia, a livello più basso, in un contesto di difficoltà economica e crisi generalizzata del lavoro, ridurre la propria disponibilità economica per qualcosa di cui non solo è difficile sentirsi direttamente responsabili ma anzi, di cui addirittura altri stati del mondo non si preoccupano (proprio per motivi economici) è sicuramente percepito come un’ingiustizia. Soprattutto senza che vi sia una vera, comoda e facilmente reperibile alternativa all’uso di carburanti di derivazione fossile.


Questo ci dovrebbe insegnare che, quando si parla di temi di tale importanza, semplificare è sempre una scelta pericolosa. L’attenzione di Aran al suo ambiente ha permesso, per ora, di fermare un progetto che nasceva non come qualcosa di “sbagliato” ma sicuramente come qualcosa di ipovedente. Un progetto che, nonostante il giusto scopo, trascurava di prendere in considerazione delle variabili fondamentali per la sua realizzazione corretta. Bisogna imparare a valutare con precisione ogni situazione, nonostante la fretta che il tema impone attualmente, per limitare ogni danno al minimo. La richiesta che ci viene fatta come popolazione globale è grande ma è ciò che serve per evitare di consegnare alle generazioni future un mondo umanamente invivibile. Perché, infondo, come mi dice Aran prima di chiudere la telefonata: “Dobbiamo ricordarci di proteggere la Terra, perché ne facciamo tutti parte” e, aggiungo io, dobbiamo ricordarci che, per farlo, dei sacrifici sono necessari ma non solo da parte di alcuni.