L’Europa dei “no borders” sfida l’Europa Fortezza

Quel “Welcome” spruzzato con la bomboletta sul cartello Republik Österreich (Repubblica d’Austria) sul muro della vecchia dogana è il segno forse più rappresentativo della manifestazione “No Borders” dello scorso 3 aprile che ha avuto come scenario le montagne del valico di frontiera fra l’Italia e l’Austria. È qui, a milletrecento metri di altezza, nel passo del Brennero, che si sono dati appuntamento circa un migliaio di giovani, ma non solo, provenienti da tutta Italia, qualcuno anche dalla Germania e dall’Austria, per esprimere tutto il loro dissenso alle decisioni del governo di Vienna di chiudere il confine.
Nei primi di gennaio il cancelliere austriaco, infatti, aveva annunciato la volontà di sospendere temporaneamente Schengen e dunque reintrodurre i controlli su tutti i confini austriaci , tra cui appunto il Brennero, al fine di respingere il flusso dei migranti che nelle prossime settimane presumibilmente tenteranno di raggiungere o passare per l’Austria. Di fatto la chiusura della rotta balcanica con la militarizzazione dei confini della Serbia e della Macedonia, riporta l’Italia ad essere territorio privilegiato per raggiungere l’Europa centrale e il Brennero costituisce una delle principali vie di accesso.
Contro queste politiche e contro i confini dell’Europa fortezza, il corteo organizzato dai centri sociali ha sfilato per meno di un chilometro dalla stazione dei treni del Brennero al coro di “Open the borders”. I manifestanti hanno raggiunto e valicato la frontiera, osservati da una sponda dalle forze dell’ordine italiane, controllati dall’altra con sospetto dalla polizei austriaca.
Durante la marcia numerosi gli interventi ma soprattutto le testimonianze dei volontari di Overthefortress, la carovana partita il 25 marzo da Ancona che ha portato supporto materiale e solidale a Idomeni, il campo che accoglie in condizioni precarie oltre dodici mila persone bloccate al confine tra la Grecia e la Macedonia.
In simbolo di queste dodicimila persone che resistono nella speranza di raggiungere l’Europa centrale, i volontari di Overthefortress hanno portato in processione una decina di tende blu simili a quelle di Idomeni e qualche giubbotto di salvataggio in ricordo di tutti gli uomini e le donne morti nell’attraversare i mari d’Europa.
Valicato il confine, il corteo che fino a quel momento aveva manifestato pacificamente, viene a un certo punto bloccato dalle Forze dell’ordine austriache in tenuta antisommossa che impediscono l’avanzare dei manifestanti. Alla testa del corteo gli animi si surriscaldano e iniziano gli spintoni tra gli attivisti e la polizei. Cori e mani alzate da un lato, manganelli e spray urticante dall’altro: il tutto si seda nell’arco di mezzora con il retro front degli uni e degli altri.
La cronaca del giorno dopo, come di consueto, mette l’enfasi sugli scontri, ma quello che rimane di questa domenica al confine non sono né gli occhi rossi e urticati degli attivisti né le divise blu e i caschi bianchi della polizia austriaca.
Ciò che rimane è il messaggio lasciato sull’asfalto “Refugees welcome to EU” da “quel pezzo di Europa solidale – come dice un’attivista ai microfoni di Globalproject – che si muove dal basso, che si auto-organizza, che sostiene i migranti e lo fa in modo concreto, con i propri corpi, violando i confini, oltrepassando le frontiere”.
Ciò che rimane è la contraddizione tra la libera circolazione delle merci che transiteranno sui convogli e i controlli a tappeto che verranno fatti a uomini e donne in fuga che passeranno da quel valico.
Ciò che rimane è l’incoerenza del messaggio trasmesso dai cartelli pubblicitari dei centri commerciali che danno il Benvenuto in Austria con il 70% di sconto e le divise dei militari che si vedranno al di là delle vetrine dei grandi marchi.
Ciò che rimane sono le parole che aprono la Carta dei diritti fondamentali dell’UE “sui valori indivisibili e universali di dignità umana, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà; [sul]la libera circolazione delle persone, dei beni, dei servizi e dei capitali nonché la libertà di stabilimento”.
Ciò che rimane sono due Europe, da un lato quella degli incentivi alla mobilità, quella della generazione Erasmus, quella dello scambio di competenze e di capitale umano aldilà dei regionalismi, quella dei voli Ryanair che ti portano dove vuoi; dall’altro c’è l’Europa dei confini, delle frontiere, del filo spinato, dei respingimenti, dei dinieghi, dei campi profughi a tempo indeterminato, dei barconi che forse ti portano a destinazione… o forse no.
Tra queste due Europe domenica scorsa probabilmente è stato segnato un punto di contatto tracciato dal basso e lasciato sull’asfalto la cui evidenza è inappellabile: a coloro il cui nome che gli abbiamo cucito addosso (“rifugiati”) coincide con il loro unico desiderio è proprio questo che i nostri governi negano anche, se necessario, con la violenza: un rifugio.